“Il paradiso frantumato”
Antonio Castronuovo commenta Jules Renard
Cosa fa un vero scrittore quando non scrive? Semplice: cerca un modo per continuare a farlo, possibilmente senza fatica. Chi scrive sa bene che la pena è dover inventare, costruire, strutturare, e allora – per trovare quiete – la cosa migliore è tenere un diario, riposante sede di intuizioni e schegge del quotidiano; luogo in cui lo scrittore, nei propri scatti di umoralità, getta tutto quel che gli salta in mente.
In tal modo un diario sembra diventare una distesa incoerente di note, ma è poi la combinazione tra esistenza e scrittura a donare alle sue pagine un incanto intimo e malinconico. Ecco perché alcuni diari sono diventati esempi eccelsi di bellezza letteraria. E se in Italia lo scettro spetta allo ‘Zibaldone’ di Leopardi, nella cultura francese spicca il grande ‘Journal’ di Jules Renard (1864-1910), millecinquecento pagine di pura delizia.
Capolavoro d’introspezione e ironia, documento traboccante di aneddoti e caricature, opera dall’aroma gradevolmente aspro, il diario di Renard è dotato di un carattere che in prima battuta non salta all’occhio: alcuni dei pensieri che l’autore ha quotidianamente annotato assumono involontariamente la forma dell’aforisma, anche della massima salace. Non poteva essere che così in chi annotava: «C’è sulla terra un paradiso frantumato», esattamente quello dei frammenti letterari che assurgono a forme finite, piccole schegge di un paradiso disperso nella realtà.
Ora, la bellezza di un aforisma aumenta se alla sua radice agisce uno spirito pungente e malizioso. E in ciò la collezione di Renard ha le carte in regola: riesce a esprimere quella forma di mentalità anarchica e introversa che suona come un ironico atto di accusa verso l’insulsaggine della modernità. Non a caso, nella Francia degli intellettuali “impegnati”, la caustica schiettezza di Renard fu snobbata.
Ma il tipo dello scrittore engagé manifestava un’intelligenza un po’ boriosa, non avrebbe mai capito che Renard parlava di lui quando nel ‘Journal’ annotava: «Cercate il ridicolo in ogni cosa: lo troverete».
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