“Mi dispero pensando a quel fatale calo di umorismo che mi sorprenderà in punto di morte”.
C’ero, quando è nato questo aforisma. Stavo lì, sul sedile posteriore di un’auto, a frugare convulsa nella borsa per trovare un pezzo di carta sul quale annotarlo.
La nostra destinazione era il centro congressi dell’Unione Industriale, dove Maria Luisa Spaziani sarebbe stata la relatrice di punta alla cerimonia di premiazione del concorso “Torino in Sintesi”, nella sua prima edizione. Il cuore di una Torino uggiosa e stinta ci scivolava ai lati e quello stesso grigiore sembrava suscitare in lei un ricordo amorevole, così come molti angoli della città, dove “Qui venivo quando… Lì abitava l’amico… C’è ancora la pasticceria in cui…?” .
Di ricordo in ricordo, fu fatale che una conversazione già nostalgica scivolasse verso il tema della fine, dell’estremo addio, di quell’‘oltre’ misterioso che sentiva avvicinarsi senza volerlo prendere, però, troppo sul serio. E infatti sgorgò di getto la considerazione che più era congeniale alla personalità acuta, spesso un po’ canzonatoria della Spaziani: “Fin qui è tutto facile, ma già mi dispero pensando a quel fatale calo di umorismo che mi sorprenderà, invece, in punto di morte!”.
E per l’autrice di questo ennesimo, amaro eppur esilarante aforisma, il momento di lasciare il nostro farraginoso mondo è arrivato, dopo 91 anni di una vita intensa e quanto mai produttiva: ad un’età ragguardevole, dunque, ma sempre troppo presto se ciò che si lascia in eredità a chi rimane è l’impressione che vi fosse ancora molto da ricevere; che sia andata persa una ‘unicità’ impareggiabile; che ogni tentativo d’imitazione di Maria Luisa Spaziani non possa che rivelarsi un misero, vano, irrispettoso fallimento.
Della matriarca della Poesia italiana, così come della donna aforista che, per prima assieme ad Alda Merini, ha illuminato il Novecento con i suoi impeccabili esempi di scrittura breve, già stanno parlando in molti, ed altri ancora ne raccoglieranno, vaglieranno, commenteranno l’opera nel modo più esperto ed esaustivo. Ecco perché, di Maria Luisa Spaziani, non desidero ricordare altro, qui, che l’esigua ma significativa porzione della sua vita professionale, e non solo, che concerne il rapporto con il Premio e con l’Associazione che presiedo.
Tutto parte da lontano, dalla fine del secolo scorso, quando chiesi alla Spaziani un suo contributo alla prima antologia, su carta stampata, di aforismi raccolti e divulgati interamente via web. S’intitolava “URLaforisma” e lei mi scrisse: “Non so cosa significhi questa parola ma sa di moderno, e dunque mi piace. Eccole i miei pensieri più recenti, scelga lei”. Ovviamente non scelsi: pubblicai l’intera silloge perché ogni massima era un piccolo gioiello d’arguzia e di poesia assieme, e fu da quel momento che il nome della Spaziani si legò a doppio filo con il gruppo di temerari, forse un po’ utopici cultori piemontesi dell’aforisma che s’inventarono prima il Premio “Torino in Sintesi” e poi l’Associazione Italiana per l’Aforisma: Maria Luisa a fare da madrina al concorso, con Gino Ruozzi a battezzare la nascita dell’Associazione ed a presenziare spesso ai nostri incontri, arricchendoli con il suo straordinario apporto di sapere, di fascino personale, di presa comunicativa.
Gli appuntamenti torinesi erano sempre autunnali. Ci si nutriva, con sconsiderata abbondanza, del frutto aforistico di autori esordienti e di vecchie glorie della massimazione; poi si finiva al ristorante: non uno qualsiasi, ma quello dove “non fanno storie se fumi a tavola”, uno di quelli, forse, che hanno ispirato la battuta a cui Woody Allen si è abbondantemente rifatto: “Il medico mi ha detto che se smetto di fumare vivrò un mese di più. Ma almeno in quel mese potrò fumare?”. Lì si dava l’assalto al tartufo, “pura poesia in un tubero”, chiacchierando con leggerezza insaporita da un pizzico di humor, ascoltando divertiti l’inesauribile bagaglio di aneddoti che Maria Luisa Spaziani aveva accumulato nel corso di una vita tanto densa d’incontri e di esperienze.
Era sempre lei, l’eccellenza della poesia italiana che non sopportava d’essere chiamata ‘poetessa’ al femminile, a decretare l’ora del ritiro. Le bastava dire “ora sono stanca” e la comitiva si scioglieva in silenzio come neve al sole, nella rispettosa abdicazione a qualsiasi insistenza. E a chi, congedandosi, annaspava tra un ‘dottoressa, professoressa, maestra’ non sapendo quale appellativo attribuirle, lei rispondeva: “Uff, oramai di titoli e titoloni è pieno il mondo. Se vuoi farmi un complimento, caro, chiamami ‘signora’: è questa l’unica specie in via di estinzione!”.
Di lei non ci occorrono altri ricordi: il molto che abbiamo letto della Spaziani e il poco che abbiamo vissuto al suo fianco basteranno a saturare la nostra memoria, per il tempo a venire, con un profondo, affettuoso, grato “senso della rilevanza”; della ‘sua’ rilevanza. E se c’è un augurio che ancora le possiamo rivolgere sta tutto, guarda caso, in un aforisma. Lei scrisse: “Scegliere la mia fine? Morire di meraviglia”. Così si congeda da Maria Luisa Spaziani la nostra società di aforisti; con la speranza che l’istante del passaggio tra un vita e l’altra le abbia regalato un ultimo sussulto d’immenso, meraviglioso stupore.
Anna Antolisei
Il 2 luglio 2014
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