INTERVISTA A SANDRO MONTALTO
1) Tra i molti generi letterari, cosa determina in te la predilezione per la “forma breve” e per l’aforisma in particolare?
2) Quando è avvenuto il tuo primo incontro “fatale” con l’aforisma? E da cosa sei stato indotto a cimentarti in questo genere?
Risponderò in una unica soluzione alle prime due domande. Se “predilezione” significa produzione esclusiva preponderante, per me non è tale siccome su ventuno libri pubblicati finora solo uno è di aforismi. Da sempre scrivo poesia, prosa, aforismi, teatro, critica, saggi e altro pensando che ogni messaggio che si vuole lanciare necessiti di una precisa forma e di un determinato genere per essere espresso al meglio, e dunque non potrei pensarmi scrittore senza una certa poliedricità. Ad esempio spesso si vedono poesie scritte a tavolino per lanciare certi messaggi che dovrebbero essere invece sviluppati in prosa, e i risultati sono inequivocabilmente orribili; oppure si vedono persone che vogliono scrivere per il teatro avendo solo esperienza di prosa e ignorando le specificità tecniche del testo per la scena, con risultati ugualmente deludenti. Per l’aforisma si possono dire cose simili.
Quando ero bambino e ragazzino conoscevo una quantità incredibile di barzellette di ogni genere, e adoravo raccontarle ed ascoltarle (adoro farlo ancora oggi, ma la mia memoria sta diventando precocemente difettosa). Quando ne imparavo una nuova mi mettevo davanti a un foglio e cercavo di rappresentarne graficamente la struttura; poi, quando pensavo di averla capita, ne inventavo altre che funzionassero allo stesso modo e le “testavo”raccontandole in giro. Ho così imparato a distinguere vari tipi di storiella, e qui hanno radice alcuni lavori che ho poi fatto in età più matura: sia quelli sul teatro (una certa capacità di gestione dei tempi è vitale per il buon barzellettiere) sia quelli sul comico che si sono concretizzati in studi su alcuni autori (da Buster Keaton a Samuel Beckett) e in alcune opere creative come Crolli emotivi, sottotitolato “Romanzo per uso esterno”. Fino a quando un giorno, casualmente siccome nella mia famiglia non ci si poteva permettere di comprare libri e quindi leggevo disordinatamente quello che trovavo o mi prestavano, ho incontrato da qualche parte il termine “aforisma” (non ricordo dove, né quali autori ho letto per primi) e ho iniziato ad approfondire scoprendo che si potevano dire cose serie e profonde sfruttando la brevità e formule retoriche, così mi pareva, simili a quelle che mi divertivano. Il passaggio seguente, ossia quello di analizzare gli aforismi altrui (scoprendo via via con entusiasmo quanti autori e quanti generi esistono) e poi scriverne di miei, è stato naturale. Da subito mi è stata ben chiara la differenza tra una battuta umoristica e un aforisma (anche se l’esatto confine è come il tempo secondo Sant’Agostino: so cos’è ma se mi chiedi di dirlo non lo so più), ma anche la possibilità di fondere efficacemente in un unico aforisma alto e basso, divino e terreno, serio e faceto. Siccome credo che chiunque viva questi aspetti in maniera nettamente distinta abbia seri problemi psicologici, e sia in ogni caso scollato dalla realtà. In questo senso, tra i migliori aforismi che conosco continuano ad esserci alcune uscite di Woody Allen nelle quali si sente chiaramente l’uomo che conosce come va il mondo, che ha cultura, e che conosce il delicato equilibrio (e la vitale coesistenza) di leggerezza e gravità. Alcuni pensano che dietro a suoi aforismi come «Non solo Dio non esiste, ma provate a cercare un idraulico di domenica!» o «Il sesso senza amore è un’esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è una delle migliori», oppure ancora «Ho smesso di fumare: vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto» ci sia del cinismo, ma osservando bene chi lo pensa ci si accorge come costui non abbia compreso le coesistenze di cui ho appena parlato, le quali sono alla base dell’esistere nel mondo (d’altra parte i disastri li hanno sempre compiuti coloro i quali vedevano la vita in maniera netta, manichea, rigida, ipocritamente schiacciata su comandamenti astratti). Non voglio dire che l’aforisma sia per sua natura apodittico, o scettico, o che altro: non lo so. Non credo che debba avere una certa forma o un certo contenuto, credo piuttosto che debba concretizzare la coesistenza di opposti che caratterizza la nostra vita. Sicuramente, però, dovrebbe tra l’altro insegnare una capacità di sintesi che è un atteggiamento mentale prima che scrittorio, utile a ragionare e a ben operare. La forma è così importante, d’altra parte, che spesso davanti a due aforismi ugualmente efficaci che dicono cose opposte è onestamente difficile decidere a quale aderire. Ed è vero che il “lavoro di lima” è fondamentale in qualsiasi opera, ma penso che l’aforisma migliore nasca all’improvviso, in una folgorazione nella quale forma e contenuto sono inestricabili. Ancora oggi mi accorgo che, pur amando autori che concepiscono la forma breve come un microsaggio (penso a Canetti, ad esempio), ed avendo molto praticato io stesso questa modalità, quello che cerco è il messaggio profondo e sentito espresso però nella forma più efficace possibile. Il che non significa necessariamente più breve: come nei dialoghi di un romanzo, quando leggi un aforisma se hai un minimo di orecchio capisci subito se il tutto è pensato e naturale allo stesso tempo, come dovrebbe essere. Se percepisco che in un aforisma c’è anche solo una parola di troppo, come spesso avviene, provo un profondo fastidio: penso che in questo genere più che negli altri contenuto, ritmo e “quantità” siano indissolubili. Non è un caso, penso, che spesso i migliori aforisti non sono stati scrittori in senso stretto ma saggisti, artisti, a volte persone che facevano tutt’altro: vale a dire persone che non si preoccupavano di dare ai loro aforismi una inutile patina di letterarietà. Infine, vorrei aggiungere che l’aforisma smaschera facilmente il suo autore: come dicevo prima serve un po’ di orecchio, che ci si forma leggendone molti e di diverso tipo, ma se l’autore non è autentico, o non padroneggia il ritmo, o non ha una precisa idea di quel che vuol dire si nota subito.
3) Quali sono stati i grandi aforisti della letteratura classica che più ti sono congeniali e che ti hanno eventualmente ispirato? Ci sono uno o più aforismi sull’aforisma che secondo te definiscono al meglio questo genere?
Amo Cioran come amo Allen o Sergio Quinzio, e amo Lec come Marco Aurelio o Kraus, Canetti come Montaigne o Ambrose Bierce(ovviamente potrei citarne molti altri). Certo mi appassionano meno autori come i moralisti francesi, ma anche in essi trovo a volte aforismi la cui validità in ogni tempo e situazione è straordinaria. Amo molto gli antichi e certe cose delle culture lontane dalla nostra. E sono decisamente più interessato a chi scrive libri di aforismi in quanto tali rispetto a chi dissemina i suoi aforismi in opere di altro genere; però come non amare Oscar Wilde, che ancora oggi alcuni pensano sia un autore salottiero mentre è stato uno scrittore di straordinaria profondità? E che dire di Shakespeare, o Borges, che gettano copiosamente splendidi aforismi nelle loro opere? E di certi memorabili passi dell’Antico Testamento, che pure è un caso ancora diverso? Naturalmente, anche tra le battute di alcuni autori si nascondono aforismi memorabili: basti citare tra gli altri i classici Longanesi («Uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica»), Flaiano («La situazione politica in Italia è grave, ma non seria»; «L’insuccesso mi ha dato alla testa») e Marchesi («È sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili»). E, per chiuderla qui, che dire di autori non di aforismi ma che per me sono come la lettura del breviario, ad esempio Seneca?
Quanto agli aforismi sull’aforisma che trovo più belli e significativi, quelli belli e famosi sono un mazzetto (che di recente mi è anche capitato di raccogliere per una plaquette legata al premio “Torino in Sintesi”), e citerò certamente cose che molti altri hanno già citato. Scelgo questi: «L’aforisma non è breve: è incommensurabile» (José Bergamín); «Aforisma: saggezza predigerita» (Ambrose Bierce); «Un aforisma benfatto sta tutto in otto parole» (Gesualdo Bufalino); «Mi fa orrore sviluppare, spiegare, commentare, sottolineare, mi fa orrore tutto quello che ricorda il filosofo, e quindi il professore. La filosofia è un pensiero che si spande (come si dice dello sterco di vacca quando si allarga). Non amo che il pensiero conciso, fulminato in una formula» (Emil Cioran); «Il vantaggio dell’aforisma sul sistema è la facilità con cui si dimostra la sua insufficienza. Tra poche parole è difficile nascondersi come tra pochi alberi» (Nicolás Gómez Dávila); «L’aforisma è il tentativo di risolvere dialetticamente il conflitto tra esperienza e riflessione» (Alessandro Morandotti).
4) Ritieni che la letteratura aforistica contemporanea, in Italia, abbia dei rappresentanti in grado di raccogliere qualitativamente l’eredità dei nostri maestri del passato?
Certo! Non farò qui, naturalmente, dei nomi specifici. Tuttavia l’aforisma in Italia mi pare vivissimo, come ho sempre sospettato captandone i prodotti qua e là (troppo spesso condannati alla macchia). Ho allora deciso nel 2003 di fondare la collana di aforismi “Athanor” presso le Edizioni Joker, che oggi raccoglie quasi tutto il meglio in questo campo si va stampando in Italia. Da allora una cosa ha tirato l’altra: sono entrato in contatto con molti autori, taluni già maturi e consapevoli e altri in via di formazione ma con tutte le carte in regola, e ne ho talvolta organizzato la pubblicazione in volumi autonomi e in antologie. Molti autori non li ho giudicati ancora meritevoli di pubblicazione ma si sono quasi sempre dimostrati aperti a suggerimenti e desiderosi di ampliare le loro conoscenze. Poco dopo è iniziata anche in questo senso la collaborazione soprattutto con Anna Antolisei e Fabrizio Caramagna, e sono nati il Premio Internazionale per l’Aforisma “Torino in Sintesi” e l’Associazione Italiana per l’Aforisma (AIPLA) di cui sono vicepresidente. Intorno alla collana, all’associazione con il relativo sito e al Premio (senza dimenticare l’ottimo sito “Aforisticamente” da Caramagna ideato e curato, grazie al quale sono stati portati in Italia molti autori stranieri di estremo interesse) è stato tutto un fiorire di iniziative e (è quello che fondamentalmente mi premeva) si è manifestata presso gli aforisti la voglia di leggersi e commentarsi a vicenda. Solo passando attraverso questa fase di presa di coscienza del lavoro di tutti sarà possibile aprirsi in maniera efficace ai lettori (i quali, quando ne hanno avuto l’occasione, hanno quasi sempre reagito con notevole curiosità alle nostre iniziative). Certo l’aforisma sembra facile da scrivere, e compare ovunque robaccia (che è tale perché chiaramente manca a monte una consapevolezza e una conoscenza specifica del genere); spesso viene confuso con la battutina tout court o con il motto da Bacio Perugina, o con lo slogan (anche se si potrebbe molto discutere su questo territorio di confine). Ma il nostro lavoro sta contribuendo in maniera significativa a precisare di cosa stiamo parlando presso una cerchia di lettori sempre più ampia. Detto questo, è fin troppo ovvio che il tempo filtrerà (ma non ho detto che necessariamente filtrerà bene: per questo occorre essere sempre vigili), e cosa resterà lo scopriremo solo tra molto tempo. Tuttavia dire che non ci sono eredi, o che il passato contiene sempre il meglio, mi pare ogni volta un buon modo per deresponsabilizzarsi. Occorre gettarsi nella mischia, comprendere, esaminare, valutare, comparare… e alla fine scommettere. Si può sbagliare, ma l’attuale, desolante situazione editoriale è il frutto di generazioni che hanno smesso di combattere (spesso esibendosi come combattenti sconfitti, ma sotto sotto desiderando di essere ammessi come cortigiani).
5) A cosa ritieni sia dovuto il calo d’interesse verso l’aforisma, nei tempi recenti, da parte del mondo editoriale?
Questo calo non lo vedo. C’è un calo nei confronti dell’aforisma contemporaneo, e la grande editoria non fa più ricerca, questo sì… ma si tratta comunque di un vuoto editoriale vecchio al massimo di una ventina d’anni: prima l’editoria seguiva con una certa continuità, anche se certo con il contagocce, questo genere (che a metà Novecento era ancora importantissimo). Tuttavia ancora oggi in ogni libreria in cui entro uno scaffalino dedicato agli aforismi lo trovo. Penso che chi come noi coltiva con passione questo genere dovrebbe imparare a cavalcare l’onda di questo persistente interesse editoriale lavorando alla base, con pazienza e tenacia, per far sì che poco alla volta il vero aforisma prenda il posto della battutina volgare, dell’osannata banalità (non divertente) stile Flavio Oreglio, o anche dell’ennesima traduzione dei soliti noti (Wilde in testa) della quale non si sente davvero il bisogno. Un’altra cosa da imparare sarebbe un corretto ed efficace uso di internet, nonostante ci si debba tuffare in un mare magnum piuttosto limaccioso. C’è poi da aggiungere che un editore deve vendere libri, non è un ente di beneficienza. Ad un editore si può (si deve) chiedere di impiegare parte degli sforzi per pubblicare volumi in sicura perdita economica ma dall’evidente prestigio culturale, ma non di condannarsi al fallimento. Le spese che un editore deve affrontare sono ormai assurde, ed occorre mediare. L’errore lo compie chi cancella dal proprio orizzonte i prodotti di maggiore pregio e si dedica esclusivamente a qualsiasi prodotto garantisca una vendita immediata. Una operazione editoriale come Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano di Gino&Michele (nella quale peraltro sono stato ospitato anche io, anche se i curatori scelsero il peggio di quello che avevano inizialmente raccolto di mio, come mi confessò un redattore), a dispetto delle critiche di molti, insieme a moltissime battute umoristiche conteneva una buona quantità di aforismi estremamente belli e interessanti. Poteva essere l’occasione per un rilancio in grande stile del genere aforistico, ma gli autori e gli editori si chiusero in uno sdegnato snobismo così presso il grande pubblico passò l’idea che il campo dell’aforisma coincideva con quello della battuta. Fino a quando di tutto questo si persero l’arguzia e l’intelligenza e rimase una sottospecie di stentato comico da quattro soldi, buono per far ridere anche il più ottuso tra gli spettatori (siccome nel frattempo il “lettore” era diventato, appunto, “spettatore”).
6) Esiste, a tuo avviso, una strada da percorrere perché l’aforisma torni a conquistare l’attenzione dei lettori, soprattutto quelli delle nuove generazioni? Quali azioni indicheresti?
Come anticipavo, forse dovremmo sfruttare la passione del lettore comune per la velocità, per la rapidità del messaggio, per gli slogan e instillare in questa rapidità un messaggio più pregnante, e una ricercatezza (efficacia? autenticità?) linguistica che sappia combattere la repellente banalizzazione del reale che una mentalità stile Twitter ha instillato in troppe persone. E’ una delle possibilità, sia chiaro, ma potrebbe nel tempo breve facilitare il lavoro di diffusione del vero aforisma. Sia chiaro: non ce l’ho con Twitter a priori. Recentemente durante una presentazione di poesia ho citato un aforisma splendido nato proprio su quel social: «le poesie su internet sono silenzi che non ce l’hanno fatta». E, mi si dice (io non lo uso), chi usa questo mezzo si trova in una sorta di continuo confronto reciproco. Ciò che voglio dire è che ogni mezzo di espressione che non abbia un minimo di filtro a priori (che però non deve essere censorio) rischia, credo, di premiare chi scrive tanto invece di chi scrive bene. Senza contare che la brevità imposta, in numero di caratteri, può essere un gioco divertente ma schiaccia l’aforisma su una sola delle sue tante forme possibili. Il rischio è quello di confondere la brevità con la concisione, e quindi, tornando da capo, quello di confondere l’aforisma con lo slogan. Sicuramente occorrerebbe togliere all’aforisma quella patina di elitarismo che alcuni autori hanno contribuito a creare, e così forse ricomincerà anche il passaparola dei lettori. Stanislaw Jerzy Lec, che pure adoro, ha scritto che «la gente non ama che i pensieri che non fanno pensare», tuttavia credo che non sia così vero: mi capita non raramente di leggere su Facebook aforismi bellissimi, spesso scritti da utenti comuni; in molti altri casi vedo citati aforismi splendidi di grandi autori, che vengono condivisi in breve tempo da centinaia se non migliaia di altri utenti. Solo moda? Non credo.
7) A tuo avviso, l’aforisma può e deve distinguersi dalle varie forme di comunicazione “veloce” oggi tanto in voga come il tweet, lo slogan, la battuta, ecc…)?
Credo di avere già risposto. Deve assolutamente distinguersi ma senza che questo alimenti il sussiego e lo snobismo di nessuno. Di questo nuovo tipo di comunicazione si dovrebbe forse (ma in certi casi: non è l’unica soluzione possibile) sfruttare la rapidità, riempiendola però di quei contenuti che solitamente nella comunicazione in stile spot manca.
8) Ritieni che la Grande Rete possa aiutare la diffusione del buon aforisma o che, piuttosto, ne faciliti la degenerazione in forme superficiali e scorrette?
Anche su questo – mi scuso – credo di avere detto la mia prima, rispondendo alla domanda 6. Ma non si segnalerà mai abbastanza il pericolo della comunicazione facile: quella di dare la parola a chiunque, il rischio (è un allarme recentemente ribadito da Umberto Eco, ma è quotidianamente sotto gli occhi di tutti) che l’opinione di un vero esperto, di un premio Nobel o del primo che passa siano ritenute ugualmente importanti in nome di una qualche idea distorta e ridicola di democraticità.
9) Pensi che la tua esperienza personale, quale autore di aforismi, sia stata fonte di maturazione letteraria, intellettuale, umana? Altrimenti, può esserlo in qualche modo?
Scrivere aforismi per me è stata una abitudine quasi quotidiana: il mio primo libro di aforismi, uscito nel 2005, contiene circa 1800 aforismi, che sono però il precipitato dei circa 10.000 scritti fino ad allora. Per lungo tempo ne ho scritti diversi ogni giorno e questa pratica ha accompagnato ogni risvolto della mia vita, di scrittore e di persona nel mondo. Era un allenamento, lo sapevo, e fin da subito sapevo che avrei dovuto poi selezionare in maniera severa. Proprio il processo di selezione (siccome credo che l’aforisma bello sia una buona cosa in sé, ma che un vero autore debba poi dar prova di saper organizzare un volume coeso e coerente) ha fatto di me un vero aforista (non dico un bravo aforista, ovviamente). Solo una volta terminata questa fase, un po’ per caso e un po’ volutamente, ho iniziato a leggere ogni aforisma mi capitasse a tiro (prima ne avevo letti, ovviamente, ma l’“angoscia dell’influenza” di steineriana memoria esiste), ed oggi posso dire di aver letto quasi tutto quanto in aforistica è stato pubblicato in italiano. Durante questa fase di letture voraci mi sono sentito a casa, e quando ho letto l’aforisma di Canetti «I grandi autori di aforismi sembra che si conoscano tutti bene fra loro» ho capito perfettamente, pur non essendo grande, cosa intendesse dire. Come ho detto all’inizio, poi, sicuramente il senso critico che si era sviluppato in me, e l’abitudine ad organizzare il pensiero in maniera precisa e concisa, mi hanno migliorato a livello sia intellettuale sia umano. Andare al sodo curando la forma nel rispetto dell’autenticità è una lezione fondamentale, per lo scrittore e ancora più per l’uomo. Oggi sento di aver fatto tesoro di quella fase, e scrivo in maniera infinitamente più rara e misurata. Posso aggiungere che la lettura dei grandi aforisti ha confermato le idee che da sempre albergavano in me: il potere conoscitivo dell’ironia, la necessità di un sapere pluridisciplinare, la diffidenza verso un sapere monolitico e chiuso (che genera intolleranza e quindi violenza), una certa concezione del pensiero più reticolare che lineare. Nella prefazione all’ultima antologia di aforisti contemporanei che ho curato ho citato il filosofo Francis Bacon: «gli aforismi, rappresentando una conoscenza frammentaria, invitano gli uomini a indagare ulteriormente, mentre i sistemi, recando la parvenza di un totale, rassicurano gli uomini come se essi fossero al culmine della conoscenza». Vale a dire che il leggere e lo scrivere aforismi denunciano una sorta di disillusione: forse il mondo non è più sintetizzabile in sistemi coerenti di pensiero, o con un deterministico ottimismo, né è più possibile organizzare senza significative contraddizioni la nostra percezione di esso. Ma è proprio qui che sta il bello.
10) Quali ritieni siano le migliori doti che deve avere un autentico aforista, oltre alla propensione per la sintesi?
Una cultura ampia e pluridisciplinare e un lungo allenamento a comprendere i moti umani (allenamento che si compie sul campo sporcandosi, e non solo sui libri). La capacità di non mescolarsi alla folla senza diventare elitario. Capacità e volontà di osservare sia se stesso sia gli altri con pietà e onestà allo stesso tempo. L’aforista deve inoltre avere spirito (nel senso di “witz”), interesse per la storia e disprezzo per la cronaca, capacità di meravigliarsi ogni giorno, buon gusto (che non significa aver sempre paura di offendere qualcuno!), amore per la libertà, apertura. E la pazienza di lasciar sedimentare i testi per poi riguardarli con occhi nuovi: detesto l’abitudine di scrivere un aforisma e pubblicarlo immediatamente su Facebook.
11) Ti senti contrariato se un aforisma di tuo conio viene pubblicato in contesti di pubblica lettura senza che sia citata la sua paternità? In sostanza: secondo te dovrebbe davvero, un aforisma, essere – come sostiene Maria Luisa Spaziani – “cosa volatile, spontanea, che nasce come un fiore e non esige alcuna sigla di origine”?
Mi è successo non solo questo, ma anche che alcune persone abbiano ripubblicato miei aforismi a loro nome; ma il mondo è piccolo, e talvolta i nodi vengono al pettine. L’ho ritenuto da una parte lusinghiero, dall’altra anche una buona occasione per sputtanare in maniera clamorosa i malcapitati. Ci si deve pur divertire, ogni tanto… Quanto al resto, talvolta scrivendo un saggio mi è capitato di avere in mente un aforisma senza ricordarne la paternità. Ho allora cercato in internet e notato che veniva attribuito a 3-4 autori diversi. Quando possibile ho fatto ricerche bibliografiche ma quando non è stato possibile l’ho citato anonimo, spiegando la cosa e apprezzando il fatto che è sostanzialmente sopravvissuto al suo autore. Come altrove ho segnalato, però, questo mi ha dato modo di riflettere sul fatto che spesso apprezziamo certi aforismi perché stimiamo i loro autori, ma se li attribuissimo a personaggi dal carattere diametralmente opposti forse li troveremmo anche banali, o di cattivo gusto (il primo, forse banale esempio che mi viene in mente sono certi aforismi di Pitigrilli). Devo però dire che se qualcuno cita miei aforismi con in coda il mio nome sono più contento. Si sa: ogni scarafone…
12) C’è una tua silloge, pubblicata o meno, alla quale ti senti più legato perché meglioti rappresenta?
Fino ad ora ho pubblicato una sola silloge: L’eclissi della chimera, nel 2005. Da tempo è quasi terminato un secondo volume, ma aspetto il momento giusto per rifinirlo e pubblicarlo. Della qualità di ciò che scrivo non posso parlare, ovviamente, ma posso senz’altro dire che il mio primo libro di aforismi per come è scritto e organizzato mi rappresenta molto (anche se qua e là farei dei ritocchi e ancora qualche taglio), e che il secondo, in via di definizione, rispecchia fedelmente sia me sia il suo predecessore.