Intervista a Piero Buscioni

1) Tra i molti generi letterari, cosa determina in te la predilezione per la “forma breve”
e per l’aforisma in particolare?

Direi una sorta di vocazione alla sintesi, alla ricerca dell’essenza, della massima concentrazione possibile di significato. Non è un caso che scriva anche poesia (poesia e scrittura aforistica sono per quanto mi riguarda, cioè per la mia storia, nate insieme), e che non abbia invece alcuna attitudine per la costruzione narrativa. Del resto, nel discorso narrativo stesso, sono non di rado proclive ad innamorarmi dei particolari, dei frammenti. Una pagina, un periodo, una frase, che non mi lasciano più, e che finiscono quasi per avere una vita autonoma rispetto al corpus generale.

2) Quando è avvenuto il tuo primo incontro “fatale” con l’aforisma? E da cosa sei stato indotto a cimentarti in questo genere?

Non saprei evocare un momento preciso, ma di certo l’aforisma fa parte del mio destino. All’aggettivo fatale della domanda quindi toglierei senz’altro le virgolette. Quanto alla seconda domanda, cosa induce a scrivere? io dico una necessità profonda. Si scrive per necessità, non per scelta. Vorrei comunque mettere in luce una sorta di specifico movente morale (non moralistico) che caratterizza la produzione aforistica.

3) Quali sono stati i grandi aforisti della letteratura classica che più ti sono congeniali e che ti hanno eventualmente ispirato? Ci sono uno o più aforismi sull’aforisma che secondo te definiscono al meglio questo genere?

Ho inevitabilmente letto molta letteratura aforistica, benché non sia certo uno di quelli che prima legge e poi si mette a scrivere. Tra l’altro ritengo che un aforista, così come un poeta o un romanziere non dovrebbero concentrare troppo le loro letture sul genere a loro congeniale, ma spaziare, esplorare. Comunque farò i primi nomi che mi balenano alla mente, quattro dai secoli passati: Pascal, Chamfort, Schopenhauer, Nietzsche; e quattro dal Novecento, secolo di cui siamo tutti figli e che in un certo senso, pur essendo finito, non smette di finire: Kraus, Cioran, Gomez Davila e il nostro Flaiano. Ci sono molti straordinari aforismi che definiscono l’aforisma, cioè meta-aforismi (io stesso ne ho scritti diversi). Eleggo Kraus che cito a memoria quindi chiedo venia se dovessi sbagliare un segno di interpunzione: “L’aforisma non coincide mai con la verità. O è mezza verità o è una verità e mezzo”.
E stralcio anche un frammento dallo Zarathustra nietzscheano: “le sentenze debbono essere vette; e coloro per i quali sono pronunciate debbono essere grandi e di alta statura”.

4) Ritieni che la letteratura aforistica contemporanea, in Italia, abbia dei rappresentanti in grado di raccogliere qualitativamente l’eredità dei nostri maestri del passato?

Questa è una domanda insidiosa, anche perché rivolta a un aforista! Non saprei. Certamente è con i grandi del passato, remoto o prossimo, che occorre sempre – e in ogni ambito – confrontarsi. A dispetto di tale aureo criterio, rilevo troppo spesso l’ansia fatua, un po’ sciocca, di tenersi al corrente, di aggiornarsi. Aggiornamento è una delle parole che detesto di più.

5) A cosa ritieni sia dovuto il calo d’interesse verso l’aforisma, nei tempi recenti, da parte del mondo editoriale?

Ritengo che vi sia, da parte del cosiddetto mondo editoriale, un calo d’interesse nei confronti dell’autentica qualità letteraria, comunque la si declini dal punto di vista del genere. Colgo l’occasione per raccontare un aneddoto emblematico: un poeta del quale non faccio il nome (mio amico, per inciso, da molti anni), oscuro, ermetico, tragico ma inopinabilmente notevole, potente, per certi versi e in certi momenti grandioso, si sentì rispondere da una importante (si fa per dire visti tanti suoi frutti…) casa editrice che il suo lavoro non interessava perché “troppo alto”. Non penso occorrano ulteriori chiose.

6) Esiste, a tuo avviso, una strada da percorrere perché l’aforisma torni a conquistare l’attenzione dei lettori, soprattutto quelli delle nuove generazioni? Quali azioni indicheresti?

In primis penso che il lavoro di uno scrittore sia scrivere e non preoccuparsi di conquistare l’attenzione di chicchessia. In secundis vorrei essere letto dai giovani ma anche, per dire, dai vecchi. Trovo cioè un po’ retorico questo discorso dell’“adescamento” dei giovani, per quanto insegni e l’insegnamento sia parte assolutamente fondamentale della mia vita. Comunque sì, esiste un’azione che può essere utile a tale scopo: scrivere bene.

7) A tuo avviso, l’aforisma può e deve distinguersi dalle varie forme di comunicazione “veloce” oggi tanto in voga come il tweet, lo slogan, la battuta, ecc…)?

Sì, assolutamente. In un tempo superficiale e mediocratico come il nostro, l’aforisma ha da mostrare il suo blasone, tutti i suoi quarti di nobiltà. Deve appartarsi e svettare. Capita di leggere, in rete ma non solo, sciocchezze invereconde spacciate per aforismi. Scrivere aforismi è anche questo: fare giustizia della banalità.

8) Ritieni che la Grande Rete possa aiutare la diffusione del buon aforisma o che, piuttosto, ne faciliti la degenerazione in forme superficiali e scorrette?

Internet è un moltiplicatore, in parte neutrale in parte no (sarebbe questo un discorso molto complesso). E la massa è, e sarà sempre, incline a recepire ciò che non è prezioso, originale, profondo. Questo è fatale; deve essere così. Ma se attraverso la rete si può raggiungere anche solo una persona – un singolo di Kierkegaardiana memoria… – che non sarebbe stato possibile raggiungere altrimenti, ecco che la rete,
questa nuova dea del nostro tempo, può assumere una valenza provvidenziale.

9) Pensi che la tua esperienza personale, quale autore di aforismi, sia stata fonte di maturazione letteraria, intellettuale, umana? Altrimenti, può esserlo in qualche modo?

Se ho ben compreso il senso della domanda, l’esperienza personale (l’esperienza impersonale o sovrapersonale dei mistici purtroppo mi manca…) costituisce naturalmente il fondamento della scrittura. Di ogni scrittura. Ma – e proprio io ho scritto qualcosa del genere – se si parte dall’esperienza fermandosi ad essa, rimanendovi ingabbiati, cioè non trasfigurandola, non conferendole risonanze anche universali oltreché inconfondibilmente personali, non andando oltre, tanto varrebbe non partire affatto.

10) Quali ritieni siano le migliori doti che deve avere un autentico aforista, oltre alla propensione per la sintesi?

Provo a dirne alcune: acutezza di sguardo; intelligenza agile; rapidità e repentinità di pensiero; moralità nel senso migliore della parola; e, segnatamente per me, senso del paradosso. Aggiungerei che un aforista vero deve avere una sua e soltanto sua visione del mondo. Un po’ come un filosofo.

11) Ti senti contrariato se un aforisma di tuo conio viene pubblicato in contesti di pubblica lettura senza che sia citata la sua paternità? In sostanza: secondo te dovrebbe davvero, un aforisma, essere – come sostiene Maria Luisa Spaziani – “cosa volatile, spontanea, che nasce come un fiore e non esige alcuna sigla di origine”?

Non soltanto mi sentirei contrariato, ma sarei altresì disposto ad adire le vie legali. Facezie a parte, mi sfugge il significato del precetto della Spaziani. Senza contare che l’aggettivo volatile non mi convince per nulla. Io gli aforismi tento di scolpirli nella pietra.

12) C’è una tua silloge, pubblicata o meno, alla quale ti senti più legato perché meglio ti rappresenta?

L’unica mia silloge che ha visto la luce è Aforismi per la fine del mondo. Potrebbe anche essere la prima e l’ultima (benché abbia già abbastanza materiale per un secondo libro). È che ho, per dir così, diversificato la produzione: un saggio monografico che evolvé molto tempo fa dalla tesi di laurea in “Storia della critica”, una rivista uscita a Firenze tra il 2003 e il 2015, un’antologia di scrittori italiani del Novecento, la silloge poetica, una raccolta di scritti sul cinema, e infine la summenzionata silloge aforistica. Lo dico perché questi cinque libri (e la rivista) si richiamano e si completano tra loro; com’è naturale che sia. Il libro di poesie e il libro di aforismi, essendo anche i più direttamente creativi, sono quelli che più mi rappresentano. E non potrebbero esistere, o meglio sarebbero come mùtili l’uno senza l’altro.

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Piero Buscioni, Nota bibliografica

Piero Buscioni

Piero Buscioni è nato a Firenze il 6 dicembre del 1973 a un quarto a mezzanotte, ed abita tra Pistoia e Serravalle. Allievo del Liceo Classico pistoiese Forteguerri, si laurea con Marino Biondi, il Grande Romagnolo, presso la facoltà fiorentina di Lettere e Filosofia, in “Storia della critica e della storiografia letteraria”. Insegna, senza fissa dimora, da quasi tre lustri; lingua mortal non dice la magia che, fino ad ora, è stata per lui la scuola. Aforista, poeta e autore di saggi, collabora con “il Portolano”, e ha collaborato con “Paletot” fin quando la rivista è uscita. Ha anche scritto, tra l’altro, su “Nuova Antologia”, “Caffè Michelangiolo”, “Hebenon”, “La Clessidra”. Suoi aforismi sono stati scelti da Guido Ceronetti per il quotidiano “La Stampa”, e una sua poesia è stata inclusa da Roberto Mussapi in un florilegio apparso sui “Luoghi dell’infinito” che comprende anche alcuni grandi poeti del
nostro novecento.

Nel 2000, per Aleph, pubblica Il rabdomante delle acque di Siloe. Saggio su Arrigo Levasti; per Gli Ori escono l’antologia Tributo minimo al novecento italiano in sedici schegge di prosa (2004) e Parole per un altro amore. Scritti sul cinema, con prefazione di Marco Guzzi (2013). Nel 2009 esce il libro di poesie Fa’ luce ti prego fino all’anima (I Quaderni del Battello Ebbro). Nel 2003 ha fondato a Firenze la rivista “il Fuoco” (Polistampa), diretta fino al 2015, anno della sua estinzione. È tra i curatori del volume L’inno che lacera i cortili. Per i sessant’anni di Roberto Carifi. Nel 2012, con la silloge Breviario di scherno e pietà, vince il premio internazionale per l’aforisma “Torino in sintesi” (sezione inediti). Con altre due sillogi figura nell’antologia bilingue The new italian aphorists ( Charleston, USA, 2013) e nell’antologia italiana Geografie minime (Joker, 2015). Sempre per Joker esce, nel 2018, il libro Aforismi per la fine del mondo.
È il massimo ermeneuta al mondo di Maradona. Ha un cane di nome Plotino e un gatto di nome Frodo; Baggins di cognome.

I nostri soci – La pagina di Massimo Lo Pilato

Massimo Lo Pilato è nato ad Atripalda il 7 ottobre 1975, vive ed opera a Mirabella Eclano (AV). Si interessa di poesia, narrativa e pittura, ha composto numerose opere in prosa e in versi, ottenendo innumerevoli riconoscimenti in concorsi letterari nazionali ed internazionali.

Massimo Lo Pilato

Per brevità si ricorderanno soltanto i primi premi assoluti: Concorso Nazionale “Andrea da Pontedera”, Premio Internazionale “Giovanni Gronchi”, Premio Nazionale “Franco Bargagna”, Concorso Internazionale di Rivalto, Premio “Tifernum” di Città di Castello, Premio “Talent Scout” di Firenze, Premio Noukria di Nocera Umbra, Premio “San Benedetto” di Norcia, Premio Biancospino di Gualdo Tadino, Premio “Novello Bosone” di Gubbio, Premio “Iacopone da Todi”, Premio “Giuseppe Piermarini” di Foligno.

Nel 2000 ha conseguito il Premio Speciale Unico per la Regione Campania all’Histonium di Vasto.
E’ stato insignito della medaglia d’oro e nominato socio di merito a vita dell’Associazione “Amici dell’Umbria” per meriti artistici e letterari.
Dal 2002 è un membro della giuria di preselezione del Premio Nazionale di poesia“Aeclanum”.
Nelle edizioni del 1997, 2003 e 2011 ha ottenuto il primo premio per la narrativa del Concorso Nazionale “Il Portone” di Pisa, con la pubblicazione delle opere vincitrici nei volumi di narrativa, editi in occasione dei concorsi.

Innumerevoli sue opere in prosa e in versi sono state pubblicate in antologie di Premi letterari, tra le quali V Edizione Premio Città di Empoli “Domenico Rea” (Ibiskos Ed.), “Auspici di luce” (Pagine Ed.), “La casa sul fiume” (Cannarsa Ed.), “Tempi moderni” (Libroitaliano Ed.), “Pensieri d’autore” (Ibiskos Ed.), “Sabba Duemila” (Ape Ed.) redatta in occasione del Giubileo e presentata a sua Santità Giovanni Paolo II.

Nel 2013 ha ricoperto la carica di Direttore Editoriale del web magazine “La Fenice online” ed è stato Presidente dell’Associazione Proloco La Fenice di Mirabella Eclano.
Ha pubblicato i seguenti volumi:

Le vie del bosco – Ibiskos Editrice – Empoli (1995)
Frammenti di cielo – Ibiskos Editrice (1996)
Le voci della notte – Libroitaliano – Ragusa (1997)
Racconti – Collana Il Portone letteraria – Pisa (1997)
Cinque storie – Collana Il Portone letteraria – Pisa (2003)
Quando me ne andai sulla luna – Firenze Libri (2007)
Soltanto parole – Ilmiolibro.it (2009)
I colori della solitudine – Collana Il Portone letteraria – Pisa (2011)

Le sue opere sono inserite nella sezione di letteratura contemporanea della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in quella della Biblioteca Marucelliana di Firenze ed in molte altre Biblioteche comunali e regionali.

Nel dicembre del 2013 un suo componimento è stato inserito nel catalogo foto poetico “Pietre Vive vol.3” edito dalla Delta 3 e presentato al Castello d’Aquino di Grottaminarda (Av), in occasione dell’omonimo evento letterario.

Nel dicembre del 2016 il Rotaract Avellino Est ha dedicato alle sue opere pittoriche il calendario annuale dell’Associazione, pubblicato a livello regionale con lo scopo di raccogliere fondi a fini formativi e didattici per i detenuti della casa circondariale di Ariano Irpino.

Nel febbraio del 2017 ha ottenuto il secondo posto nel concorso online “Frammenti inesplorati”, indetto dall’AIPLA.
Nel febbraio del 2019 ha ottenuto il primo premio assoluto al concorso internazionale “Premio San Valentino” di Atripalda, per la sezione Baci d’Amore, Aforismi, con la pubblicazione dell’opera vincitrice.

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Aforismi di Massimo Lo Pilato

Ormai è tutto virtuale… tranne la solitudine.

Questa vita è pura magia e noi la trascorriamo, cercandone il trucco.

Se non ci fosse un domani… quanti oggi non andrebbero sprecati.

C’è più poesia in un tramonto che in tutte le biblioteche del mondo.

Il tempo è un liquore che, invecchiando, ci ubriaca di ricordi.

Mia nonna spegneva la luce dell’abat-jour e sussurrava la buonanotte a mio nonno, che si era addormentato dieci anni prima… con questo semplice gesto mi ha insegnato l’amore.

Ti riconoscerei, nel mezzo di un temporale, anche se tu fossi una goccia dell’acqua… tutto il resto sarebbe soltanto pioggia.

Dura un secondo la giovinezza e una vita il suo ricordo.

I tuoi occhi compivano il miracolo di farmi amare qualunque cosa guardassero… persino me.

Alzate lo sguardo, spalancate la mente, il cielo non è il tetto del mondo, è il pavimento dell’universo.

Osserviamo il tempo come il paesaggio fuori dal finestrino, diciamo che corre ma siamo noi a passare.

La vita è una partita a carte truccate con un baro chiamato destino.

Amerò sempre gli alberi, con le radici trattengono il mondo, con i rami agguantano l’azzurro… sono il ricamo che cuce cielo e terra.

Il tempo è geloso della nostra felicità… inizia a correre quando dovrebbe fermarsi.

Ci vogliono pochi anni per crescere… e il resto della vita per tornare bambini.

E la morte guardò terrorizzata l’amore e disse: “Tu sarai la mia fine!”

Voler scegliere chi amare è come addormentarsi, pretendendo di decidere cosa sognare.

Il prezzo dell’alba è il sacrificio delle stelle.

L’autunno è talmente innamorato dei tramonti da dipingerne uno su ogni singola foglia.

Diventeremo cenere comunque… tanto vale ardere!

Una notte di pioggia è il turno di riposo delle stelle.

Le chiamano connessioni senza fili eppure siamo tutti burattini nelle grinfie della tecnologia.

Stiamo diventando patinate copertine di libri, che non legge più nessuno.

Piangersi addosso serve soltanto ad annaffiare rimpianti.

Un giorno ci racconteranno come se fossimo fiabe, come se non fossimo esistiti mai.

I ricordi sono cicche di sigarette spente che continuano a toglierci il fiato.

Quante perle di saggezza… in menti chiuse come ostriche.

Le poesie sono le uniche amiche alle quali confidiamo i nostri segreti con la speranza
che li raccontino al mondo.

La pioggia lo sa… non c’è ombrello impermeabile alla nostalgia.

“È acqua passata” disse l’arcobaleno all’orizzonte.